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Davide Copelli WebSU

La risoluzione di stampa

Articolo a cura di: Francesca Ambrosini

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Cap. 13 - Corso Base Fotografia Digitale

Le immagini digitali generate da una fotocamera digitale o da uno scanner sono composta da puntini chiamati pixel. Le stampanti inkjet creano le immagini con goccioline di inchiostro. A prima vista le due tecnologie possono sembrare simili, ma invece vi sono alcune importanti differenze

Milioni di colori da tre inchiostri

Le stampanti ed i monitor producono i colori con metodi opposti. Lo schermo del monitor senza segnale è nero e diventa luminoso quando aggiungiamo luce colorata usando il sistema di colori additivi RGB. Se rosso, verde e blu hanno intensità equivalente, otteniamo il bianco. Invece, il foglio bianco di carta per la stampa diventa più scuro man mano che la stampante lo ricopre di inchiostro. Questo è il sistema basato sui colori sottrattivi CYM.

Se si dispongono sulla carta gocce di inchiostro cyan, giallo e magenta in pari numero, i nostri occhi percepiscono il nero, almeno in teoria. In pratica vedremmo un colore indefinito, bruno-grigiastro scuro, perché gli inchiostri sono parzialmente trasparenti e le gocce non coprono mai il 100% della carta. Per questo motivo in tutte le stampanti è presente anche un serbatoio di inchiostro nero.

In modalità 8 bit, i colori di una immagine possono avere solo 256 sfumature per ognuno dei colori primari. Se si moltiplica 256 tre volte per sè stesso (256x256x256), si ottengono 16.777.216 combinazioni di colore possibili per ogni singolo pixel. Invece, nella nostra stampante troviamo solo tre cartucce (o 6, o 8 nelle stampanti professionali) di inchiostro colorato, più una cartuccia di inchiostro nero.

La stampante non miscela gli inchiostri, perciò per poter riprodurre tutti i 16 milioni di colori, si ricorre a due tecniche di base.

Primo, si variano le dimensioni delle goccioline di inchiostro usate per stampare. Più piccole sono le gocce, più chiaro appare il loro colore perché fra di loro rimarrà più visibile il bianco della carta. La mia stampante per esempio, produce gocce da 1 picolitro (un pl è un millesimo di miliardesimo di litro, o se preferite 0,000000001 millilitri).

Secondo, e più importante, si crea l'illusione dei colori sfumati disponendo opportunamente sulla carta gruppi di singole goccioline di colori diversi. Se si osserva con una lente le fotografie pubblicate sui giornali, quello che sembrava dapprima un colore di tonalità continua si rivela composto da punti disposti in un certo ordine. Se tutti i punto sono gialli, il colore apparirà naturalmente giallo, ma se i punti sono gialli e magenta alternati, apparirà il rosso, se visto a distanza. Il giallo più cyan genera il verde. Per fare il verde chiaro, i punti devono essere stampati più piccoli o alcuni non sono affatto stampati, lasciando vedere la carta sottostante, e così via. Variando la percentuale degli inchiostri colorati e le dimensioni dei punti stampati, si crea l'illusione visiva di una grandissima varietà di sfumature di colore, necessarie per riprodurre sulla carta una fotografia.

Per ridurre al minimo la percezione visiva dei punti, le stampanti più moderne affiancano ai tre colori primari CYM, il cyan chiaro, il magenta chiaro o altri colori. Questo consente di aumentare la percentuale di copertura della carta mantenendo la capacità di ricreare colori chiari. In ogni caso però, la strategia di base rimane la stessa.

Le prime stampanti inkjet spesso creavano stampe in cui i punti erano grandi abbastanza da risultare distinguibili, ma le moderne stampanti generano gocce talmente infinitesimali che spesso si fondono insieme al punto da non essere più visibili nemmeno se osservate a forte ingrandimento. L'ovvia conseguenza di questa tecnologia è che occorrono molti punti, ognuno fatto da una o più goccioline d'inchiostro, per rappresentare ogni singolo pixel di una immagine.

In genere si considera ottimale una risoluzione di stampa intorno ai 300 ppi (pixel per inch) per la stampa di alta qualità, mentre le odierne stampanti sono capaci di operare a 1440, 2880 o anche più dpi (dots per inch). Non lasciamoci confondere da questi valori. Quando i produttori di stampanti dichiarano che un loro prodotto ha la capacità di stampare a 1440 dpi, intendono dire che la stampante riesce a mettere sulla carta 1440 gocce di inchiostro per pollice, non 1440 punti per pollice. Per stampare un solo pixel possono essere necessari alcuni punti (dots) a loro volta formati da più gocce d'inchiostro.

Purtroppo qualche volta capita di vedere schede tecniche di stampanti in cui i termini "ppi" e "dpi" sono usati impropriamente o come fossero sinonimi. Non è così, sono grandezze diverse, anche se possono sembrare simili.

Quando si prepara una immagine per la stampa non si dovrebbe mai impostare una risoluzione superiore a 300 ppi. E' vero che la qualità delle stampe migliora aumentando la densità dei pixel per pollice, ma generalmente si considera 300 ppi come la soglia massima oltre la quale la qualità non aumenta, anzi tende a declinare. Questo si spiega con le dimensioni minime delle gocce di inchiostro: se con 300 pixel si riesce a coprire un pollice di carta (25.4mm), a 400 ppi i pixel tenderanno a sovrapporsi a causa delle loro dimensioni fisiche, con conseguente perdita di dettaglio.

Naturalmente i valori di ppi citati non sono da considerare come assoluti. Molti stampatori professionisti sostengono di ottenere eccellenti risultati a 240 ppi, altri preferiscono spingersi fino a 360 ppi. In passato molti usavano una risoluzione di 288 ppi perché questo valore è un sottomultiplo esatto di 1440, e questo in qualche modo agevolava il lavoro del driver della stampante. Onestamente credo che oggi non sia più un discorso valido, dato che negli anni i driver sono molto migliorati ed ora sono certamente in grado di gestire benissimo anche le alte risoluzioni.

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